Con il definitivo insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ed i supposti, dichiarati, cambiamenti di direzione della politica Usa, occorre farsi tre domande.
La prima: come si comporteranno i paesi europei nei confronti dell’America di Trump? Ognuno di essi cercherà di fare accordi bilaterali, cercando il proprio singolo interesse? Oppure, i diversi paesi europei, almeno quelli principali, tenderanno a fare sempre più politiche comuni; cercando, di conseguenza, di rendersi più indipendenti dagli Usa?
La seconda: per l’Italia, ci saranno cambiamenti? A vantaggio o a svantaggio del nostro paese?
La terza: come sta operando il Governo Meloni, nei confronti degli Stati Uniti d’America?
AnalisiPolitica ha cercato di rispondere, per quanto le compete; ovvero intervistando un campione nazionale di 1.000 cittadini adulti, allo scopo di rilevare gli avvisi della Pubblica Opinione, sui tre temi espressi sopra.
Sulla prima questione, non c’è un risultato univoco. Tolto, il 20% di chi non ha opinione, rimane il 46% di chi pensa che gli stati faranno accordi singoli e il 34 di chi ritiene che l’Europa tenderà a muoversi in maniera unitaria. Di sicuro, una quota inferiore, ma non di così tanto.
È un dato trasversale, a livello socio-demografico; non si rilevano particolari accenti/caratteristiche nei diversi parametri. Solo nelle regioni più ricche, il Nord e la Toscana; specificatamente nel Nord-Ovest, il valore sugli “accordi singoli” aumenta un poco (mediamente del 5%). Diverso è a livello politico. Forza Italia e Pd, con un valore medio del 47%, tendono a pensare che l’Ue cercherà un processo unitario. Per Alleanza Sinistra-Verdi, Fratelli d’Italia e Lega, invece saranno più facili le relazioni singole (mediamente 53%). Curioso il fatto della Lega, ci sia comunque il 41%, dato ben al di sopra della media, che ritiene che le politiche europee saranno comuni.
Per il 37% con Trump ci saranno cambiamenti, nel rapporto con l’Italia, un valore non troppo alto. Il dato si divide nel 15%, per cui i cambiamenti saranno vantaggiosi, e il 22%, per i quali saranno svantaggiosi.
Anche in questo caso, a livello socio-demografico, il dato risulta essere trasversale. Giusto nel Nord-Est si ritiene che ci potrà essere qualche vantaggio in più (24%). I titoli di studio più alti sono accentuati sia sui vantaggi (22%) che sugli svantaggi (33%). Significa solo che, pur rimanendo polarizzati, i più istruiti, percentualmente, si sono maggiormente formati un’opinione, rispetto agli altri. Dato comprensibile.
A livello politico è semplice: il centrodestra pensa ai vantaggi, soprattutto la destra (48%); il centrosinistra pensa agli svantaggi (33%).
Riguardo all’operato del governo, i risultati sono comprensibili. Se la media nazionale è del 51%, una maggioranza, ma non ampia, di chi da un giudizio positivo; nei partiti del centrodestra la quota è molto più alta. Non per tutti uguale, però. Quasi plebiscitaria per Fdi (84%); molto alta in Forza Italia (73%); non così alta nella Lega (61%). Inutile dire che nel centrosinistra il voto è sensibilmente negativo; ma, è da rilevare, in nessun partito dell’opposizione il giudizio negativo è maggioranza. Il valore massimo è del Pd, con il 49% del proprio elettorato.
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